Si parlava ieri sera dei motivi per cui, ultimamente, ad ogni azione debba forzatamente corrispondere una reazione uguale, non necessariamente contraria, probabilmente peggiore.
Un do ut des della cattiveria, mai pago.
In breve, ci si chiedeva perché una più che legittima rivendicazione debba compulsivamente sfociare in violenza antitutto.
[“Che altrimenti il messaggio non arriva”.]
Dev’esserci parecchia confusione sul “Manuale del Piccolo Sovvertitore di Gerarchie Secolari, Ed. 2013-2014″: il capitolo sulla necessità di evitare di “menar le mani” con la celere, avvantaggiando colore e calore non si studia neanche più.
[“Che tanto non lo chiede”.]
Rebus sic stantibus, strategia poco vincente: i cops e la sdamba , neanche a dirlo, non vedono l’ora.
Azioni del genere compiute da personaggi del genere, rientrano nelle opere di misericordia, alla voce: “dare da bere agli assetati”, di cattolica reminescenza.
(Tautologico, pleonastico, ridondante.
Necessario anzichenò.)
Da vittima a carnefice, il passo è sempre più breve.
Fuoriesce con maggiore insistenza quell’attitudine brutale, prima repressa, a passare dalla parte del torto.
In scioltezza.
Esempio aneddotico proprio ieri sera, dal cornettaro di San Lorenzo, ore 3 a.m. :
In seguito a schiamazzi volano bottiglie piene d’acqua dai piani alti.
(…)
C’era una volta il secchio.
O meglio, l’acqua del secchio (che rimaneva ben saldo nelle mani del bestemmiante).
Una volta si era più signori.
Anche nelle reazioni.
A proposito di scontri tra pula e popolo ti invito a leggere i risultati sull’esperimento carcerario di Stanford dal quale sono stati tratti diversi libri e film
Sì, sì, conosco l’esperimento. Perché?
(Non credo che il mio post tradisca simpatie per una delle due “fazioni”).
No infatti,ma purtroppo al giorno d’oggi ci siamo tutti imbruttiti proprio come le guardie dell esperimento