Tanto tuonò che Renzi

Sgombriamo subito il campo dai dubbi: è costituzionalmente legittima la nascita di un governo non votato dagli elettori.
Dal 1948, carta (costituzionale) canta.
Si può discutere sulla vetustà della suddetta in alcune materie, o sulla sua manchevolezza in altre.
Il padre costituente lungimirante, ad esempio, avrebbe messo una postilla sull’illegittimittà di un governo formato da elementi pericolosi quali Giovanardi, Razzi, Boccia, la moglie.
No, troppo ingeneroso: una cautela del genere, circondato da Pertini, Togliatti, Croce, De Gasperi era veramente impossibile prevederla.

Ma torniamo a loro.

Il PD, noto partito amante del sadomaso, riesce nell’impresa di bruciare l’unico cavallo vincente (perchè Renzi lo era) da tanti anni a questa parte con una mossa, legittima sì, naftalinica pure, esteticamente poco apprezzabile altrettanto.
Usando le metafore calcistiche che tanto piacciono al segretario, sembra tanto un autogol.
Se è vero che con Letta si navigava a vista in uno stagno, si fa fatica a capire cosa e quanto possa cambiare con un governo retto pressoché dalle stesse forze.

Patti occulti? Strategia? Certamente.
Quello che ci si chiede è se a Renzi siano ben chiari gli attori in campo.
A reggere il suo governo, tra gli altri, c’è quel signore, il cui nome inizia per “A” e finisce per “lfano”, non conosciuto certo come uno dei più limpidi esempi di lealtà politica.
Davvero è convenuto? Davvero non si poteva fare altrimenti?
Ci sarebbero poi gli iscritti, “la base”, che “senza di quella scordatevi le altezze
Sì, magari domani.
Forse.

Accettato (…) l’assunto che le sorti del nostro paese siano strettamente legate a quelle del Partito Democratico si intravedeva nelle premesse renziane, e solo in quelle, non certo una rivoluzione, quanto una vibrazione sulle statiche corde istituzionali.
Dal Jobs Act alla riforma elettorale la prevedibile rivelazione:
Renzi è solo l’ennesima corda, non la vibrazione.

Articolo originale publicato per Wild Italy

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